CALIGULA

"Io t'amavo, Drusilla, di un amore puro - puro come le stelle più pure. T'amavo, Drusilla, come si può amare il mare o la notte - con un impeto che aveva tutta la disperazione dei naufragi. E ogni volta che sprofondavo in questo amore, mi sottraevo ai clamori del mondo e all'infernale tormento dell'odio."

- Albert Camus, Caligola (1941)





Desiderio e tenerezza, violenza e...Quali sono le parole giuste per parlare di Caligola? Non ci sono. La disperazione la si coglie leggendo l'opera e andando a teatro. Perché è lì, in scena, che Caligola si manifesta davvero. 
Sessanta pagine che catturano il pensiero razionale, e lo annientano. Un imperatore artista che impazzisce per la morte dell'amante e la cui follia contagia ogni cosa. La forza del testo: i dialoghi; nessun altro modo avrebbe reso la potenza espressiva di Caligola se non il riportarne fedelmente alcuni. E così ho fatto. 

Cesonia (in grande apprensione) Una guardia l'ha visto passare. Ma tutta Roma vede Caligola dovunque. E Caligola non vede che l'ombra di Drusilla.
Siede affranta. Silenzio.
Scipione Dimmi, Cesonia, l'amava fino a questo punto?
Cesonia Di più, ragazzo mio. La desiderava.
Scipione In che modo strano lo dici.
Cesonia Perché, vedi, se l'avesse solamente amata, la sua morte non  avrebbe cambiato niente. Le malattie dell'anima non sono gravi. Ci si salva con la malinconia. Invece no, lui oggi sente i morsi della carne. 

Tutti stanno cercando Caligola, che chissà dov'è. Si apre così, il dramma. Tutti preoccupati per lui: Cesonia (un'ancella), Scipione (tra gli amici prediletti), la corte. L'atmosfera è liquida, movimentata, rosso sangue; si respira da subito l'inquietudine di una mancanza. Poi Caligola arriva, ed è in Cesonia che cerca consolazione:

Caligola [...] restami accanto senza parlare[...](con voce malata) Ho male al cuore, Cesonia. No, non avvicinarti. Lasciami stare.[...] Ora non mi rimane altro che questo futile potere di cui parli. Più è smisurato, più è ridicolo. Perché non vale niente al confronto degli sguardi che Drusilla mi rivolgeva certe sere.(Pausa) Non era lei, era il mondo che rideva attraverso i suoi denti.

Segue un dialogo disperato. Cesonia in lacrime, afflitta da un amore struggente per il suo Cesare/Caligola, costretta ad ascoltare la venerazione di un uomo per Drusilla, l'unica creatura che egli abbia mai voluto. Comincia il tuffo nella crudeltà: la ricerca di "vittime e colpevoli" da uccidere per poter mitigare le proprie pene. 

Caligola Ah, comincio a vivere finalmente! Vivere, Cesonia, è il contrario di amare. Te lo dico io. 

E' umanamente impossibile non provare empatia verso questo personaggio perso, malato, comico e grottesco insieme: per il suo modo crudo di dire le cose. E di dire cose vere, inammissibili perché troppo reali nella propria logica. E percepire compassione per il suo animo in balia del nulla; perché a Caligola, davvero, non importa più di niente. Forte di questa indifferenza verso il mondo, esercita una condizione di libertà assoluta; condizione che lo distruggerà come uomo.

Cherea Attraverso Caligola, per la prima volta nella storia, la poesia provoca l'azione e il sogno la realizza.[...]Se c'è un solo individuo puro, nel male o nel bene, il nostro mondo è in pericolo. (Pausa) Ecco perchè Caligola deve morire.

Il più anziano e saggio tra i filosofi a corte, Cherea, sa che per Caligola non esiste salvezza terrena. Caligola, che comincia a commissionare omicidi senza motivo, che vuole ferire le persone e le obbliga ad azioni insensate. 

Cesonia (freddamente) Ha ucciso tuo padre?
Scipione Sì.
Cesonia Lo vuoi uccidere?
Scipione Sì.
Cesonia [...] vorrei parlare alla parte migliore del tuo cuore.
Scipione (con una certa enfasi) Io avevo un cuore.
Cesonia Bisogna avere la tua età per pensare che il cuore si possa perdere o cambiare.

Più tardi, Caligola, incontra l'amato Scipione:

Caligola Recitami una poesia.
Scipione No, Cesare, ti prego.
Caligola Perché?
Scipione Non ce l'ho qui.
Caligola Non te la ricordi a memoria?
Scipione No, dimentico sempre ciò che ho amato troppo.
Caligola Ecco la tua prima frase sincera. Dimmi almeno il contenuto.

Insieme, i due, daranno vita ad uno scambio di pensieri tra i più belli della letteratura; una descrizione della natura e della solitudine dell'animo umano, talmente poetica che il lettore coinvolto non riuscirà ad evitare la commozione. 
Nel terzo atto Scipione non ha ormai più paura di parlare apertamente al suo sovrano:

Scipione Dopo aver insanguinato la terra, hai sporcato anche il cielo.
Cesonia (calmissima) Attento, ragazzo mio. C'è gente che muore a Roma in questo momento, per aver detto molto meno.
Scipione Io ho deciso di dire la verità a Caligola.
Caligola (interessato) Dunque, Scipione, tu credi agli dei?
Scipione No.
Caligola Allora non capisco. Perché ce l'hai tanto con quelli che bestemmiano?
Scipione Si può non credere in qualcosa senza sentirsi per questo obbligati a insudiciarla o negare agli altri il diritto di crederci. 

Ma è lo scambio di battute con Cherea che porta Caligola alla vera presa di coscienza:

Cherea Non si può amare in un altro ciò che si cerca di nascondere in sé stessi. 
Caligola Perché mi odi?
Cherea Qui ti sbagli, Caligola. Io non ti odio. Ti considero dannoso e crudele, egoista e vanesio. Ma non posso odiarti, perché non ti ritengo felice.
Caligola Tu sei intelligente. E l'intelligenza si paga cara, o la si rifiuta. Perché vuoi rifiutarla? 
Cherea Perchè ho voglia di vivere e di essere felice. E credo che le due cose non siano possibili se si spinge l'assurdo fino alle estreme conseguenze.

Ed è sempre Cherea ad enunciare, nel quarto e ultimo atto una verità innegabile sul suo imperatore:

Cherea [...]quest'uomo ha esercitato su di me una innegabile influenza. Mi costringe a pensare. Costringe tutti a pensare. L'insicurezza, ecco cos'è che fa pensare. E' per questo che è tanto odiato. 

La folle crudeltà di Caligola si esprime anche sul finale quando Cassio, uno dei suoi fedelissimi, subisce l'esercizio malato del suo potere e viene condotto a morte:

Cassio (esagerato) Giove, prendi la mia vita in cambio della sua.
Caligola (chiama due guardie) Portatelo via.
Cassio (vagamente preoccupato) Ma dove mi portano?
Caligola (girandosi verso di lui, improvvisamente serio) La vita, Cassio. Se tu l'avessi amata davvero, non te la saresti giocata così incautamente.

Fino all'ultimo, Caligola ci tiene con il fiato sospeso. Quando pensiamo che tutto sia già accaduto, che altro di tragico non possa avvenire, lui parla e dimostra il contrario. Sarà protagonista anche del suo epilogo, che già conosce. E, nella sua insanità, ci avvicina a lui con un ultimo colpo di coda. Si aggira per la stanza, inerme, in mano uno specchio:

Caligola E' buffo.[...]I vivi non bastano a riempire l'universo e vincere la noia. Quando ci siete tutti, mi fate sentire intorno un vuoto così sconfinato da restarne accecato. Io non sto bene che in mezzo ai miei morti.

Caligola, che voleva la luna, che cercava l'impossibile sapendo di non poterlo avere. Desiderio e tenerezza, violenza e... Amore. Questo è, paradossalmente, Caligola. Così come pensato da un meraviglioso Albert Camus nella versione del 1941; Camus che ha lavorato a questo testo per quasi vent'anni, elaborandone tre stesure. Noi non possiamo che ringraziarlo: per aver dato voce alla passione, nobilitato l'eros come forza vitale, averci fatto abbandonare al delirio. Ma soprattutto per aver utilizzato "il teatro come vocabolario" ed espresso una solida verità: "si recita". Concludo con le parole dell'autore: "Caligola acconsente a morire perché ha capito che nessun essere può salvarsi da solo e che non si può essere liberi se non contro gli altri uomini".

Chapeau.






   


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