LA TUA LIBRERIA: ENRICO






Io lo sapevo che poi uno ci prendeva la mano... Soprattutto i miei compagni delle superiori: che si sarebbero scelti il titolo per la loro libreria, le citazioni preferite, addirittura la libertà di spaziare nei commenti. Così ha fatto il mio caro Enrico (detto anche Ombry). E così io lascerò la sua "confessione". Che noi i pensieri ce li siamo sempre scambiati così tra i banchi di scuola: senza filtri, a ritmo libero, con calma. La parola al musicista:

LIBRERIA DI UN VIAGGIATORE 

Premetto: sono diventato un “lettore seriale” solo dopo le superiori, periodo in cui vivevo ancora i libri come un’imposizione al pari dei compiti di matematica. Per accendere la scintilla ci vollero un leggero intervento in day hospital che mi costrinse in casa per qualche giorno e Luis Sepùlveda. Avevamo passato il giro di boa del 2000 solo da un paio d’anni ed eravamo ancora in epoca pre-social media, pre-smartphone, pre-tutte quelle cose che oggi, nel bene e nel male, ci impediscono di annoiarci.
STORIA DI UN KILLER SENTIMENTALE è un libro corto, agile, che dal niente divorai in una mezza giornata di metà luglio. Da lì non potevo più tornare indietro. Ne volevo ancora.
Anni prima, mosso da chissà quale istinto, in un mercatino di Vernazza avevo comprato AVERE E NON AVERE di Ernest Hemingway. Lo cominciai appena finito con Sepùlveda e fu la porta di accesso alla letteratura americana del ‘900: dal concetto di génération perdue espresso da Gertrude Stein negli anni ’20, a quel piccolo capolavoro degli anni ’80 che è LE MILLE LUCI DI NEW YORK di Jay McInerney, passando per Faulkner, Capote, la Beat Generation e diverse digressioni nella letteratura inglese contemporanea, un libro sul mio comodino non è mai mancato.
Gli anni passarono, cominciai a consumare anche libri di non-fiction e contemporaneamente la vita cambiò: cominciai a viaggiare per lavoro e, per mere ragioni di spazio e peso, non mi era possibile portare più di un libro con me. È da queste restrizioni che nacque l’esigenza di trovare alternative per non inciampare sulla necessità di scegliere solo un titolo, con il rischio di sbagliare o di finirlo prima di essere tornato in Italia.
La mia "Libreria da viaggiatore" è un insieme di e-book che mi hanno tenuto compagnia negli hotel, negli aeroporti, sugli aerei, nelle stazioni dei treni, in tutti quei luoghi in cui si transita e in cui, forzatamente, si ha tempo per lavorare, imparare, informarsi o semplicemente riflettere: luoghi in cui, a volte, all'attesa si unisce la ricerca di un’indicazione per raggiungere la prossima meta, sia essa un luogo o un obiettivo.

1. EMINENT HIPSTERS
Donald Fagen (2013)

“You’ll find that many chapters in this book are about people and things that intersected with my life when I was a kid. I apologize up front: I tried to grow up. Honest. Didn’t quite happen. I guess I’m someone for whom youth still seems more real than the present, or the half century in between. And why not? I’m deeply underwhelmed by most contemporary art, literature, music, films, TV, the heinous little phones, money talk, real estate talk, all that stuff.”

Donald Fagen è un musicista che, insieme al recentemente scomparso Walter Becker, ha dato vita alla band pop/jazz Steely Dan agli inizi degli anni ’70 per poi intraprendere la carriera solista negli anni ’80. Fagen porta il lettore in un universo organizzato in capitoli che spazia da minuziosi racconti sui gruppi che lo hanno influenzato, all’essere bambini in America durante l’esplosione della moda della fantascienza negli anni ’50 (che altro non era che un’allegoria della guerra fredda), passando per un’intervista a Ennio Morricone fatta proprio da Fagen nel 1989 per la rivista Premiere, e da un resoconto in forma di diario riguardante un tour fatto nel 2012 insieme ad altre vecchie glorie della musica americana. Il tutto condito con aneddoti, racconti e riflessioni. Anche se non è propriamente un’autobiografia (richiama per certi versi la struttura dello splendido Chronicle Vol.1 di Bob Dylan), tutto ciò che per Fagen ha avuto un peso o un impatto (compresa la morte di John Lennon) trova spazio in questo libro dal ritmo serrato e intriso di sarcasmo mai posto a caso che mantiene viva l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina.

2. HOUSE OF CARDS – TRILOGY
Michael Dobbs (1989)

“La verità è come un buon vino. Spesso la trovi infilata nell'angolo più buio di uno scantinato. Ti ci devi imbattere per caso. E devi anche darle una spolveratina, prima di riportarla alla luce e cominciare a usarla.”

La serie House of Cards non è nata da Netflix, ma trova le sue origini in Inghilterra, in una trilogia di libri iniziata nel 1989 e poi trasformata in una serie tv per la BBC nel 1990. Il suo autore, Michael Dobbs, ha ricoperto il ruolo di capo dello staff del partito conservatore e vicepresidente del partito tra la seconda metà degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90. La trama è risaputa: all'indomani delle elezioni vinte dal suo partito, il chief whip Francis Urquhart (non Underwood come nella versione di Netflix) non riceve dal neo-eletto primo ministro il ruolo di prestigio a cui ambiva. Visti gli anni di fedele servizio e l’endorsement concesso al vincitore durante le elezioni, Urquhart mette in moto una serie di intrighi al fine di far cadere il governo. Ciò che mi ha colpito del primo libro e che mi ha portato a leggere gli altri due, non è la vetrina di sotterfugi macchinati dal protagonista per raggiungere i suoi obiettivi: Urquhart è un anti-eroe eroso prima dal desiderio di vendetta e poi dal potere. Certamente non un personaggio da prendere come esempio. Ciò che mi ha colpito è lo spaccato della vita politica descritta da Dobbs (nonostante sia sicuramente romanzata più del dovuto), la tensione che permea da molte situazioni e la regola non scritta dell’understatement, secondo cui ogni parola, frase, azione o reazione dev'essere sempre valutata attraverso il filtro di un’interpretazione che in molti casi può benissimo cominciare da una semplice domanda: cui prodest? (“A chi giova?”)

3. FANTOZZI, RAG. UGO 
Paolo Villaggio (edizione del 2013 contenente il saggio il Fantozzi della lingua italiana, Stefano Bartezzaghi)

“Nel mese di maggio ha luogo la famosissima Fiera Campionaria di Milano. Giunse notizia alla società che c’era la possibilità di visitarla, a condizioni economiche favorevolissime. […] All’ingresso Fantozzi radunò il gruppo e disse: ‘Stiamo sempre uniti!’. Ed entrarono… persero immediatamente i contatti. […] Filini, che aveva lasciato il portafoglio alla moglie, intorno a mezzogiorno fu costretto all’accattonaggio più umiliante per un tozzo di pane. Molti approfittarono dell’occasione per lasciare definitivamente la famiglia e fuggirono nella lontana Erzegovina. […] Ogni tanto c’erano dei commoventi incontri con le famiglie, con abbracci e scene d’entusiasmo […] Le visite ai padiglioni si facevano più che altro nella disperata ricerca delle famiglie e del proprio gruppo.”

Fantozzi è un personaggio che lo stesso Villaggio amava e odiava, ma più che altro odiava. Credo sia anche per questo che il suo autore gli ha fatto subire ogni tipo di umiliazione e che nonostante questo, a volte passa dall’essere vittima a carnefice, spesso fra le mura domestiche. Non mi ha mai mosso a compassione. Difficilmente ho incontrato opinioni tiepide riguardo al ragioniere: o si ama o si odia. Credo tuttavia che una cosa si possa dire con certezza: se ci si ferma all’analisi del personaggio singolo e alle indicibili sofferenze da lui subìte, si torna a casa con una visione molto limitata dell’universo fantozziano. Perché di universo si tratta: Villaggio ci mostra il mondo visto con i suoi occhi anticonvenzionali, uno spaccato della realtà italiana grottesco dove “megalomani rampanti e titoli onorifici in maiuscolo (Direttore Generale, Siderale, Megadirettore Galattico, Direttore Arcangelo, Sua santità il Signor Dott. Ing. Grand. Uff. Lup. Mann. Direttore Naturale di tutto, ecc…)” fanno da padroni, dove alla festa della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare i dipendenti di basso grado della Megaditta vengono invitati “con ambiguo spirito democratico” e gli invitati più altolocati sembrano essere su posizioni politiche maoiste mentre il cameriere vota partito liberale perché “Se cambiano le cose qui, mi dice lei come faccio a vivere?”. Inoltre l’universo alienato di Fantozzi parla una lingua sua, un italiano parallelo che però negli anni è diventato di uso comune: lemmi come l’anteposto aggettivo, ad esempio “l’implacabile costume ascellare”, termini come appunto “implacabile” o “tragico” (che può qualificare qualsiasi cosa, come un “tragico tre bottoni blu scuro di lana pesantissimo”) ci suonano familiari nel loro particolare uso fantozziano, e magari a volte ci aiutano a sorridere delle nostre piccole tragedie.

Grazie Enrico, prima che per i libri, per aver sempre fatto le cose "a modo" quando ti sono state chieste (soprattutto dagli amici); con impegno e dedizione, non come i compiti di matematica. Bellissima l'introduzione e invitanti le descrizioni di tre libri che non conoscevo ma che hai presentato egregiamente. Vuoi venire al mio posto che io vado a leggere Fantozzi? 

Commenti

  1. ecco che.... se la lettura è per me inizialmente stata stimolata dalla voglia di annusare le giunchiglie che mostrano le loro splendide corolle in foto, dopo le prime 4 righe si è immediatamente tramutata in voglia di trovare il primo volo per venire a capire e curiosare in quella libreria dai contorni agresti, colti, informali ed emozionali!!!

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    1. Immagino che il commento fosse riferito al post sopra ma la mia risposta non cambia...Cosa stai aspettando?! ✈

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